Rischia il licenziamento per giustificato motivo oggettivo il dipendente che si rifiuti di seguire un corso di formazione in tema di sicurezza

Con la recente sentenza n. 20259 del 14.07.2023 la Corte di Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi su un tema di non scarso rilievo nel contesto della sicurezza sul lavoro, chiarendo se sussista l’obbligo, a carico del dipendente, di partecipare ad un corso di formazione afferente alla sicurezza sul lavoro che si tenga al di fuori dell’orario ordinario di lavoro contrattualmente stabilito e se, per l’effetto, il datore di lavoro sia legittimato a comminare un provvedimento espulsivo, nelle forme del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a fronte dell’eventuale rifiuto.

La Suprema Corte, nella pronuncia in esame, ha ricordato che sul datore di lavoro grava l’obbligo di assicurare, ai propri dipendenti, una adeguata formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, che si inscrive nel quadro della più generale disciplina dettata dal D. Lgs. n. 81 del 2008, le cui norme, oltre ad annoverare la formazione ed informazione dei lavoratori tra le misure generali di tutela (art. 15 D. Lgs. cit.), connotano la formazione obbligatoria come “sufficiente ed adeguata” (art. 37 D. Lgs. cit.).

Sussiste, quindi, un ineludibile obbligo per il datore di lavoro di assicurare ai dipendenti un’adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Venendo poi a considerare se soccorra il corrispondente obbligo per il lavoratore di partecipare ad un corso di formazione ove esso si tenga in orario non corrispondente a quello ordinario contrattualmente pattuito, l’art. 37, comma 12, del D. Lgs. n. 81/2008 statuisce che “la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire (omissis) durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori”.

Nel ricostruire la portata normativa dell’espressione “durante l’orario di lavoro”, la Corte ritiene non possa prescindersi dalla definizione di orario di lavoro di cui all’art. 1, comma 2, della L. n. 66 del 2003 (vigente all’epoca di emanazione del D. Lgs. n. 81/2008 e quindi, evidentemente, tenuta presente dall’allora legislatore), per tale intendendosi “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Trattasi, pertanto, di definizione ampia, che consente di ricomprendervi ogni periodo in cui venga prestata attività lavorativa e, quindi, anche quando ciò avvenga al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempi pieno e di quello concordato per i lavoratori a tempo parziale.

Come osserva la Suprema Corte, la stessa circostanza che la succitata norma specifichi che ciò non possa “comportare oneri economici a carico dei lavoratori” è ulteriormente confermativa dell’esigibilità della partecipazione ad attività formativa oltre la normale articolazione oraria della prestazione, fermo restando l’applicazione delle prescritte maggiorazioni.

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo comminato nei confronti di un dipendente a tempo parziale che, peraltro reiteratamente, si era rifiutato di completare la formazione obbligatoria, in tema di sicurezza sul lavoro, in orario non corrispondente a quello – pari a venti ore settimanali articolate su cinque giorni – concordato.

Del resto, come è stato evidenziato dalla Suprema Corte, rispetto alle necessità di offrire al dipendente un’adeguata formazione – indispensabile a prevenire rischi per la sicurezza e la salute non solo del singolo ma della intera comunità dei lavoratori nonché dei terzi che vengano in contatto con l’ambiente di lavoro – la pretesa del lavoratore al completamento della formazione solo nell’orario corrispondente al tempo parziale concordato costituisce espressione di un interesse che non può che essere recessivo rispetto a quelli tutelati dal legislatore del 2008. L’opposta soluzione, inoltre, finirebbe per pregiudicare o rendere comunque eccessivamente difficoltoso l’adempimento dell’obbligo formativo da parte del datore di lavoro.

Giovanna Riviera
Avvocato di diritto del Lavoro 
www.studiolegaleriviera.it

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