Permessi ed ex festività non goduti

Possono essere liquidati in busta paga?

La riduzione dell’orario di lavoro è un istituto originato dalla contrattazione collettiva, che consente al lavoratore di astenersi dalla prestazione lavorativa, conservando il posto di lavoro, senza subire una decurtazione sulla propria retribuzione. Il numero di Permessi (detti, in alcuni casi, ROL), determinato su base annua, varia a seconda del CCNL in considerazione della qualifica, dell’anzianità di servizio del lavoratore e dell’orario di lavoro dello stesso.

Questa riduzione, le cui modalità di fruizione sono lasciate alla contrattazione collettiva, viene solitamente realizzata tramite la concessione di permessi orari. In caso di mancata fruizione dei permessi da parte del lavoratore entro i termini previsti dalla contrattazione collettiva, è prevista la monetizzazione del monte ore residuo, il cui valore è calcolato sulla base della retribuzione in essere al momento in cui scade la possibilità di fruizione.

Per ex festività, invece, si intendono le festività che non rientrano più tra le ricorrenze festive agli effetti civili ai sensi della L. n. 54/1977 (S. Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, SS. Apostoli Pietro e Paolo): a fronte di tale previsione normativa i contratti collettivi hanno dunque previsto il diritto (compensativo) di fruire di 32 ore di permessi individuali aggiuntivi.

Così come accade per i permessi, nell’eventualità in cui il lavoratore non possa godere delle ex festività in uno specifico arco temporale stabilito dalla contrattazione collettiva, è prevista la possibilità di erogare un’indennità sostitutiva. Anche in questo caso, quest’ultima viene calcolata prendendo come parametro la retribuzione corrisposta al momento di scadenza del termine stabilito per la fruizione.

Se il contratto collettivo nazionale lo prevede, quindi, il datore di lavoro può liquidare, alla scadenza prevista, i permessi non fruiti dai lavoratori nell’anno di maturazione, evitando un possibile aumento dei costi al momento della cessazione del rapporto di lavoro con la liquidazione di tutti i ratei e ulteriori periodi di assenza dalla prestazione. Ecco perché per il datore di lavoro può essere conveniente il pagamento e l’azzeramento dei permessi nel momento in cui il contratto collettivo lo consente.

La maggior parte dei contratti prescrive la monetizzazione del monte ore residuo a fine anno; alcuni, invece, ne consentono la fruizione per un ulteriore periodo rispetto a quello di maturazione. In ogni caso, il pagamento dell’indennità sostitutiva deve avvenire alla scadenza prevista dal contratto collettivo nazionale utilizzando, come base di calcolo, la retribuzione corrisposta al momento della scadenza del termine stabilito per la fruizione. Tuttavia, nel tempo, le interpretazioni ministeriali e dell’Inps hanno aperto alla possibilità di siglare accordi che superino la previsione contrattuale nazionale, consentendo la fruizione dei permessi anche in periodi successivi all’anno di competenza.

In molti contesti aziendali è prassi mantenere accantonato il monte ore residuo, peraltro agevolando i lavoratori, ai quali viene riconosciuta la possibilità di avere una riserva più consistente da utilizzare in base alle proprie esigenze. L’azienda in tal modo evita un immediato esborso rimandandolo, peraltro solo in caso di mancata fruizione dei permessi, a un momento successivo o al più tardi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Qualora le imprese siano interessate a tale soluzione devono sottoscrivere accordi aziendali o individuali con i lavoratori, altrimenti vige la previsione dei contratti collettivi nazionali. Si tratta di accordi derogatori che, sebbene incidano sulle pretese contributive, sono stati ammessi dal ministero del Lavoro e dall’Inps stesso. I permessi sono, infatti, da ritenersi diritti disponibili alle parti, non esistendo alcuna previsione di legge che ne preveda l’indisponibilità. Non si tratta di diritti connessi alla tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore, come ferie o riposi giornalieri e settimanali. La contrattazione di secondo livello ma anche la pattuizione individuale possono, quindi, derogare alla previsione contrattuale nazionale.

Per quanto concerne l’insorgenza dell’obbligo contributivo, in particolare, l’Inps sottolinea come sia nella disponibilità delle parti prevedere una deroga circa il termine ultimo di fruizione del monte ore. In tali casi, l’insorgenza dell’obbligazione contributiva viene rinviata in coincidenza con il predetto termine. Inoltre, ove la contrattazione collettiva non preveda un termine per il godimento dei permessi, la gestione è lasciata alle parti, senza previsione di scadenza per l’obbligazione contributiva connessa.

Resta inteso, è bene ribadirlo, che a fronte di una previsione dei contratti collettivi nazionali ed in assenza di accordi derogatori tra le parti, se i permessi non vengono liquidati alla scadenza prevista dal CCNL, è comunque necessario assolvere all’obbligazione contributiva.

In aggiunta all’ipotesi di pagamento per disposizione del contratto collettivo, è possibile che sia il lavoratore stesso a chiedere che gli venga liquidata una certa quantità di permessi non goduti. In questo caso la richiesta può essere avanzata in qualunque momento dell’anno, anche lontano dalle scadenze contrattuali; l’importante è che il lavoratore trasmetta al datore di lavoro un’apposita richiesta scritta.

L’importo presente in busta paga a titolo di liquidazione dei permessi è, a tutti gli effetti, soggetto a contributi INPS, tanto per la parte da trattenere al lavoratore quanto per quella a carico dell’azienda e a tassazione IRPEF.

La stessa somma, peraltro, concorre a formare il reddito complessivo ai fini fiscali del beneficiario, da indicare (al pari della retribuzione e delle altre competenze) in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Dott.ssa Monica Civettini
Studio Assogest Srl Stp
Via Cabrini, 10 Brescia
www.studioassogest.it

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