Il whistleblowing dopo il recepimento della Direttiva Ue

L’istituto del whistleblowing ha stentato a trovare una collocazione nel sistema giuridico italiano e, per anni, è stato limitato al personale pubblico e alle aziende dotate di un modello di organizzazione o gestione ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 (responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per specifiche tipologie di reato commesse da amministratori e dipendenti delle Aziende).  

Il recepimento con il D. Lgs. 10 marzo 2023, n. 24 (il “Decreto di attuazione”) della Direttiva UE 2019/1937 del Parlamento europeo ha invece segnato un cambio di passo nel nostro Paese ed è oggi diventato necessario eliminare qualsiasi ostacolo che per tanti anni ha impedito a questo istituto di affermarsi.

Come evidenziato dall’art. 1 del Decreto di attuazione lo “scopo” è quello della “protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato”.

Proviamo a vedere insieme l’evoluzione normativa di questo istituto. Il whistleblowing è stato disciplinato per la prima volta in Italia nel 2012, con esclusivo riferimento ai dipendenti pubblici in senso stretto. Il primo dato normativo risale infatti alla c.d. Legge Severino (art. 54-bis, D. Lgs. n. 165/2001), ma l’impianto che ne derivava non assicurava un’efficace tutela della riservatezza dell’identità del segnalante: il dipendente era infatti chiamato a indirizzare la propria segnalazione al proprio “superiore gerarchico”, ovverosia al soggetto meno adatto a occuparsene in quanto, spesse volte, implicato nelle attività oggetto della segnalazione. Tuttavia, la tutela del whistleblowing nel settore privato si è limitata ad una modifica del D. Lgs. n. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, prevedendo tra gli adempimenti organizzativi e di controllo, anche l’istituzione di un canale attraverso il quale i dipendenti o collaboratori dell’azienda potessero segnalare eventuali condotte illecite a garanzia della riservatezza della loro identità. Veniva inoltre ampliata dalle nuove disposizioni la tutela del dipendente segnalante contro sanzioni ritorsive conseguenti alla segnalazione, quali demansionamenti, licenziamenti, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro, trasferimenti o altre misure organizzative aventi conseguenze negative sulle condizioni di lavoro, tutela resa ancor più effettiva dall’espressa previsione di nullità degli atti discriminatori o ritorsivi adottati (con onere della prova gravante interamente sull’amministrazione) nonché dalla possibile adozione da parte dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) di sanzioni amministrative anche importanti.

Nonostante la Direttiva Europea avesse inizialmente previsto per il recepimento il periodo massimo di due anni, in Italia l’attuazione è avvenuta solo con il Decreto di attuazione n. 24/2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 marzo 2023. Le disposizioni ivi contenute avranno effetto a far data dal 15 luglio 2023, con eccezione dei soggetti del settore privato che abbiano impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati inferiore a duecentocinquanta, per i quali gli obblighi decorreranno dal 17 dicembre 2023.

In un’ottica di armonizzazione delle norme dell’Unione, anche il nostro ordinamento ha quindi esteso la sfera di applicazione delle regole in materia di whistleblowing anche al settore privato per tutte quelle aziende che, in media nell’ultimo anno, hanno impiegato almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato. 

Il recente articolato normativo prevede le seguenti modalità di segnalazione: una interna e una esterna. Per quanto riguarda la prima tipologia, il Decreto di attuazione prevede l’attivazione di canali di segnalazione interni che garantiscano la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione. La gestione del canale interno di segnalazione deve essere affidata ad una persona o a un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato per la gestione del canale di segnalazione, ovvero ad un soggetto esterno, anch’esso autonomo e con personale specificamente formato. Il procedimento è descritto dal Decreto di attuazione: al segnalante deve essere comunicata la presa in carico della segnalazione con “avviso di ricevimento” da rilasciare entro sette giorni dalla ricezione e il riscontro alla segnalazione deve avvenire nei successivi tre mesi dalla data dell’avviso di ricevimento. 

Le segnalazioni esterne avvengono attivando l’apposito canale indicato dall’Anac. È possibile ricorrere a questa seconda modalità nell’ipotesi in cui non vi sia stata l’attivazione del canale di segnalazione interna nel contesto lavorativo, la segnalazione non abbia avuto un adeguato riscontro, oppure il soggetto segnalante ha fondati timori di subire ritorsioni. I segnalanti, quindi, hanno altresì la possibilità di rivolgere segnalazioni esterne attivando un canale di comunicazione indipendente e autonomo, ad ulteriore garanzia dell’efficacia della disciplina. 

Le aziende saranno quindi chiamate a fornire informazioni trasparenti riguardo al canale, alle procedure per effettuare le segnalazioni interne ed esterne per gestire in modo conforme segnalazioni pervenute mediante vari canali. 

Tra le tutele principali, sono state confermate l’importanza della tutela dell’anonimato del segnalante e la conseguente protezione per eventuali ritorsioni, allargando la protezione anche ai “facilitatori”, per esempio colleghi o parenti che aiutano il whistleblower nel suo percorso di segnalazione.

Pesanti le sanzioni in caso di violazione: l’ANAC può applicare sanzioni amministrative pecuniarie fino a Euro 50.000,00, nei casi in cui non siano istituiti canali di segnalazione, non siano state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni, ecc.

Ma cosa succede se vengono effettuate segnalazioni mendaci?
Ai sensi del terzo comma dell’articolo 16 del D. Lgs. 24/2023 “quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave, le tutele di cui al presente capo non sono garantite e alla persona segnalante o denunciante è irrogata una sanzione disciplinare”.

Pertanto, la protezione del whistleblower viene meno se sia stata accertata, anche solo con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per calunnia o diffamazione o la responsabilità civile con dolo o colpa grave. 

Sotto tale profilo limitare la responsabilità civile solo ai casi in cui il segnalante abbia agito con dolo o colpa grave farà sì che in molti casi il soggetto danneggiato da segnalazioni infondate rimarrà privo di protezione per i danni subiti quale conseguenza della falsa segnalazione, mentre il soggetto segnalante acquisterà una protezione (quella contro misure ritorsive o discriminatorie) nonostante la sua segnalazione fosse falsa o inesistente.

Sotto altro profilo, sarà foriero di dubbi interpretativi la formulazione legislativa utilizzata che prevede l’“irrogazione della sanzione disciplinare” al whistleblower che abbia posto in essere una condotta di diffamazione o calunnia solo “quando è accertata” la sua responsabilità penale e civile, mentre è evidente, in ragione dei principi di tempestività e dell’immediato venir meno del vincolo fiduciario, che il potere disciplinare dovrà essere esercitato subito laddove venga riscontrato l’illecito da parte del datore di lavoro.

Dott.ssa Monica Civettini
Studio Assogest Srl Stp
Via Cabrini, 10 Brescia
www.studioassogest.it

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