Nei robot industriali sono necessari attuatori con elevata densità di potenza che sprigionino coppie elevate a velocità relativamente basse. Anche se la disposizione cinematica e la scala del robot determinano quali siano i motori e i componenti più adatti, quasi sempre si impiegano motori elettrici, perché sono dispositivi efficienti con gioco, peso e inerzia ridotti.
Più in generale l’inerzia e la rigidità complessive dell’attuatore, ossia del complesso motore-riduttore, influenzano la controllabilità e le prestazioni del robot. La larghezza di banda e l’impedenza meccanica devono essere elevate per dare modo al robot di muoversi con precisione anche quando sia soggetto a carichi variabili, compresi quelli dinamici, ossia le forze e le coppie indotte dalle variazioni di velocità e di traiettoria.
Nei veicoli a guida automatica (AGV), detti anche robot mobili autonomi (AMR), si utilizzano motori a corrente continua alimentati da batterie. A differenza del sistema di controllo, che è avanzato e spesso proprietario, la cinematica è tradizionale e quindi comune ad altre applicazioni industriali.
Tuttavia il sollevamento di carichi consuma più energia del semplice spostamento orizzontale, per cui gli attuatori che negli AGV e negli AMR sono adibiti a questa scopo generano coppie elevate a bassa velocità facendo ricorso a riduttori a elevato rapporto di riduzione, come gli ingranaggi a vite senza fine: anche se meno efficienti, sono ad arresto spontaneo, e quindi si bloccano nel moto retrogrado, impedendo ai carichi di precipitare qualora venga a mancare l’alimentazione del motore.
Attuatori basati su motori a corrente continua vengono impiegati anche in piccoli robot per uso civile e domestico. Per esempio, i robot per la pulizia dei pavimenti utilizzano motori a corrente continua con spazzole accoppiati a ingranaggi cilindrici in plastica che riducono velocità di rotazione che possono arrivare anche a 10.000 giri al minuto. Laddove invece si vogliano ottenere maggiore efficienza e compattezza, si ricorre a ingranaggi planetari (o epicicloidali), che hanno rapporti di riduzione pari o anche superiori a quelli degli ingranaggi a vite senza fine, ma con rendimenti decisamente maggiori e ingombri assai contenuti.

Carlo Remino
Ricercatore in Meccanica Applicata alle Macchine presso la facoltà di ingegneria dell’Università degli Studi di Brescia. carlo.remino@unibs.it